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Recensione di: Hereafter

22/12/2010 | Recensioni |
Recensione di: Hereafter

Alla veneranda età di ottant’anni Clint Eastwood ci mette ancora una volta alla prova, e per farlo confeziona un film il cui tema è “aldilà” delle nostre più consce aspettative. Parlare di cosa ci sia dopo la morte è un terreno tortuoso e talmente minato da far indietreggiare chiunque, ma non Clint, che nella sua mistica classicità cinematografica, ha saputo rischiare. Ma l’esperimento è davvero riuscito? Se da un lato apprezziamo la raffinatezza con la quale si parla della morte senza eccessivo pietismo, dall’altro non possiamo esimerci dal constatare alcune pecche a livello di sceneggiatura, che inevitabilmente pongono questo film ad un livello inferiore rispetto agli splendidi “Gran Torino”, “Mystic River” e “Million Dollar Baby”. Presentato al Toronto International Film Festival, prodotto da Steven Spielberg (già “complice” del dittico sulla battaglia di Iwo Jima) e scritto dal prolifico Peter Morgan (“The Queen”, “Frost/Nixon: Il duello”, “I due presidenti”), il film verte più sugli aspetti spirituali che su quelli meramente religiosi. Tre sono le storie che si intersecano. Matt Damon è un sensitivo in congedo che tenta di rifarsi una vita al di là del suo dono/flagello, Cécile De France è una giornalista francese scampata allo Tsunami e Frankie McLaren è un bambino londinese che lotta contro il dolore per la morte del fratello gemello. Quest’ultima storia è senza dubbio quella più riuscita e coinvolgente, che da sola sarebbe capace di reggere un film intero, e non perché, scontatamente, siamo portati a pensare che quando si tratta di bambini la commozione non stenta ad invaderci, ma perché nella naturalezza tragica di un dolore tanto comune, il regista pone il suo miglior tocco poetico. Non tutto però nel film scivola con altrettanta disinvoltura ed immediatezza. Matt Damon sembra un pesce fuor d’acqua, imbrigliato in ruolo nel quale probabilmente non crede sino in fondo e l’epilogo finale suona fin troppo melense. Eastwood butta delle carte in tavola alte, anzi altissime e riesce nell’impresa solo in parte. E’, però, opportuno e doveroso rimarcare che Clint è pur sempre Clint, e qualsiasi cosa faccia, anche se può non convincere sino in fondo, è pur sempre un film fatto con assoluta maestria, e ad un livello superiore rispetto alla gran parte del cinema contemporaneo.

Serena Guidoni

 


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